A un mese dalla conclusione della 26esima Conferenza delle Parti sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (COP26), l’appuntamento più importante degli ultimi anni sui cambiamenti climatici, si prende coscienza degli impegni presi e del lavoro da svolgere. Tutti insieme.
Un evento storico indubbiamente, quanto controverso, che ha riunito oltre 30.000 delegati, tra cui Capi di Stato, esperti climatici e attivisti, per concordare un piano d’azione coordinato per la salvaguardia dell’ambiente.
Per ottenere risultati concreti, tutti i Paesi dovranno impegnarsi nella riduzione della deforestazione, accelerare la transizione ecologica, abbandonando le fonti fossili e investendo in quelle rinnovabili.
Quattro i grandi obiettivi da perseguire:
- Azzerare le emissioni nette a livello globale e limitare l’aumento delle temperature 1,5 °C entro il 2050.
- Salvaguardare gli ecosistemi e le comunità umane nei luoghi dove il cambiamento climatico ha e avrà un maggior impatto
- Finanziare attività e progetti per il rispetto ambientale. Per raggiungere i primi due obiettivi, i Paesi sviluppati devono mantenere l’impegno di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno in finanziamenti per il clima entro il 2030.
- Cooperare tra Stati.
Cosa è stato raggiunto?
Significativi sono gli impegni globali presi, come quello sulla deforestazione, sulla trasparenza del reporting delle emissioni, sulla revisione annuale (anziché quinquennale) dei Nationally Determined Contributions (NDC) per la neutralità carbonica.
Di contro, è forse mancato il coraggio di attuare misure più drastiche per contenere il riscaldamento globale: il documento finale della COP26, infatti, invita e non vincola i Paesi ad adottare fonti energetiche rinnovabili e a ridurre la presenza di centrali a carbone e di sussidi alle fonti fossili, né ha strutturato un piano centralizzato per tutti.
Si è sicuramente segnato un salto di qualità nella presa di coscienza della crisi climatica, ma ci si aspettava di più.
Tanti i grandi protagonisti che hanno animato il dibattito, anche la Regina Elisabetta di Inghilterra, che è intervenuta rivolgendosi ai leader della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite a Glasgow in un videomessaggio.
«Non è più il tempo delle parole, ma il tempo dell’azione per affrontare la minaccia dei cambiamenti climatici» ha detto. A farle eco, Boris Johnson, Primo ministro del Regno Unito, che ha aperto il Convegno dichiarando: «La meta è vicina ma dobbiamo essere più ambiziosi».
A questo scopo, proprio la presidenza britannica ha redatto il documento finale della Cop26 – che si allinea agli obiettivi dell’Accordo di Parigi sulla riduzione delle emissioni di gas serra – invitando i Paesi a “rivisitare e rafforzare” i target di riduzione delle emissioni per il 2030 nei loro piani d’azione nazionali.
Il documento esorta inoltre a definire piani e politiche entro la fine del prossimo anno per ridurre le emissioni di anidride carbonica del 45% al 2030 e raggiungere le zero emissioni nette entro la metà del secolo e ai Paesi sviluppati di almeno raddoppiare i finanziamenti per il clima per aiutare i Paesi in via di sviluppo ad adattarsi ai cambiamenti climatici.
A segnare questa edizione di COP26 è stato poi l’inatteso accordo tra Stati Uniti e Cina, primi Paesi emettitori di gas serra al mondo.
La Cina, in particolare, ha detto sì a un mercato globale delle emissioni di carbonio, uno degli obiettivi del vertice di Glasgow. John Kerry, inviato del presidente Biden per il clima, ha detto che Usa e Cina conservano le rispettive distanze, ma sulla lotta al cambiamento climatico “non hanno scelta” se non collaborare.
Ciò che è emerso in generale, dunque, è che questo decennio sarà determinante per il futuro del Pianeta, perché rappresenta l’ultima possibilità per l’umanità di agire prima che sia troppo tardi.
Solo rafforzando la collaborazione tra i governi, le imprese e le cittadinanze sarà possibile vincere la sfida della crisi climatica per garantire alle generazioni future modelli sostenibili di produzione e di consumo e una società inclusiva, equa ed etica.
È una questione di visione: è importante affrontare questa transizione come opportunità di sviluppo. Un ecosistema protetto, sostenibile e resiliente è in grado di produrre più ricchezza e reddito di un ecosistema insicuro e debole.
In questo scenario, il ruolo dell’imprenditore risulta essere centrale, nella realizzazione di modelli di business sostenibili che mantengano l’equilibrio tra sviluppo economico, equità sociale ed ecosistemi.
Mi rende particolarmente fiduciosa il ruolo dirompente che sta avendo la nuova generazione di giovani e giovanissimi, cosciente delle conseguenze che le azioni di oggi avranno sul loro futuro e attivi e coraggiosi nel far sentire la propria voce, riscuotendo in maniera importante l’attenzione dei media.