È scattato anche in Italia, da venerdì 14 gennaio, il decreto che recepisce la direttiva europea SUPSingle Use Plastic” (in vigore dal 3 luglio 2021), che ha l’obiettivo di ridurre l’uso della plastica monouso e limitarne la dispersione nell’ambiente.

La questione ambientale riguarda l’inquinamento dell’aria, del suolo e soprattutto dei mari e la direttiva costituisce una pietra miliare per la difesa dei mari e di tutto l’ambiente.

Con 6 mesi di ritardo, anche l’Italia abolisce i prodotti in plastica usa-e-getta come piatti, contenitori per alimenti, cannucce, posate, cottonfioc, pena sanzioni che vanno da 2.500 a 25 mila euro.

Il problema principale non è la plastica in sé, ma la logica del monouso.

Il decreto promuove anche l’utilizzo di prodotti alternativi con campagne di sensibilizzazione e regole per lo smaltimento, nonché agevolazioni per le aziende che facevano uso di plastiche, sotto forma di credito d’imposta, per i prossimi 3 anni.

Un passo avanti sì, ma anche (così come è scaturito da Cop26) l’ennesimo caso in cui l’obiettivo di realizzare una transizione ecologica di industria e consumi, deve confrontarsi con la ragion pratica dell’economia.

Parliamo di numeri.

L’Italia è tra i leader continentali nel settore delle plastiche. Una filiera che comprende circa 10.000 aziende, per un totale di circa 162.000 occupati e un giro d’affari da 32 miliardi di euro.

Ma l’Italia è anche il paese che produce più bioplastica a livello europeo, con circa 110.000 tonnellate annue, 2.800 addetti che lavorano in 280 aziende che sviluppano un mercato da 815 milioni di euro.

La logica di pensiero del nostro Paese è quella di tenere insieme le esigenze di industria ed ecologia, andando a proporre una modifica alla normativa. Una scelta che potrebbe però mettere l’Italia contro la Commissione europea, con la relativa procedura di infrazione.

Rispetto a quanto previsto dalla direttiva UE (che comunque lascia alcuni margini interpretativi), nella versione italiana del testo è prevista la commercializzazione di prodotti monouso realizzati in materiale biodegradabile e compostabile, purché certificati conformi allo standard europeo.

Il recepimento italiano prevede il ricorso alle soluzioni biodegradabili e compostabili solo in alcuni casi specifici: quando l’uso di alternative riutilizzabili non sia possibile o queste non offrano adeguate garanzie di igiene e sicurezza e soprattutto quando le alternative riutilizzabili abbiano un impatto ambientale peggiore delle soluzioni biodegradabili e compostabili.

Il presidente di Legambiente Stefano Ciafani ha dichiarato: «Per combattere lo strapotere dell’usa-e-getta in plastica è importante puntare su tre azioni: favorire una drastica e concreta riduzione attraverso un’applicazione efficace della direttiva; sensibilizzare le persone ad adottare comportamenti e stili di vita più sostenibili ricordando che la dispersione di plastica nell’ambiente può causare seri danni anche alla biodiversità». La direttiva infatti non porterà mai ai risultati attesi se i consumatori non vengono adeguatamente informati sulla presenza di plastica nei prodotti e sulle corrette modalità di smaltimento.

E ancora: «Infine, è fondamentale promuovere una filiera industriale che punti sempre più sulla chimica verde e sui materiali compostabili, laddove non è possibile escludere i prodotti monouso».

Ora bisogna attendere la posizione ufficiale dell’Unione Europea.